“C’è tutta la convenienza, oggi ad adottare pratiche di produzione che rispettino l’ambiente” Gian Luca Galletti (Ministro dell’Ambiente del Territorio e del Mare)

Il mercato globale agricolo sta assistendo ad un profondo mutamento. L’avvento del biologico e la crescente coscienza sociale riguardo l’impatto ambientale delle attività umane, ha segnato una vera e propria “inversione” delle tendenze di acquisto.

Se fino a pochi anni fa, infatti, la tendenza dei consumatori era votata al principio del minimo prezzo (e di conseguenza anche le produzioni tendevano ad abbattere i propri costi), ad oggi la tendenza è completamente opposta.

Le nuove generazioni di consumatori, cresciute nell’era dei cambiamenti climatici e della crescente attenzione allo sfruttamento sostenibile delle risorse, sta mostrando un comportamento che si discosta grandemente da quello della generazione precedente.

“Lo Sviluppo Sostenibile è lo sviluppo che soddisfi i bisogni del presente, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni” Report of the World Commission on Environment and Development Our Common Future (1987)

Grande attenzione è infatti riservata a prodotti a basso impatto ambientale, basti pensare al proliferare (a causa della crescente domanda di mercato) delle produzioni “cruelty free”, biologiche e dei cosiddetti “allevamenti etici”. Ma il mercato si è mostrato rispondente non solo a criteri di eticità nei confronti delle produzioni da allevamento, ma anche per quanto riguarda quelle agricole.

I consumatori, infatti, sono sempre più interessati a prodotti a basso impatto ambientale, “environmental-friendly”.

Quali sono stati i mutamenti economici “green” che hanno portato a questa rivoluzione?

Per rispondere a questa domanda, bisogna far riferimento alla nascita e alla proliferazione della “Green Economy”, un sistema economico che prevede che nella pianificazione degli obiettivi di rendimento economico (non solo a livello aziendale ma nazionale) si vadano a considerare tutta la serie di impatti ambientali e sociali derivanti dalle produzioni. Un modello economico che al grido di “one planet one economy” ha rimarcato negli ultimi anni la stretta coesione tra economia e pianeta.

In questo modello lo sviluppo sostenibile è l’obiettivo a lungo termine, da raggiungere applicando i dettami dell’economia verde a livello governativo: regolamentazioni nazionali specifiche, politiche ambientali, ma soprattutto incentivi e finanziamenti “verdi” sono gli strumenti a disposizione. In altre parole, tra gli obiettivi della green economy c’è quello di formare una nuova “governance globale”, una rivoluzione sociale e quindi politica che si riflette sul sistema economico globale.

Per leggere gli effetti di questo mutamento a livello italiano ed internazionale,  basti considerare il successo di cui ha goduto negli ultimi anni lo “Slow Food”, la

“grande associazione internazionale no profit impegnata a ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi, grazie ai saperi di cui sono custodi territori e tradizioni locali.”

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Con l’introduzione del “cibo buono, pulito, giusto e sano”, lo “Slow-Food” ha invertito la tendenza del mercato agroalimentare, che comincia a rendersi indipendente dal principio del minimo costo, aprendosi sempre di più a quello del minimo impatto ambientale.

Cosa significa questo per le aziende del settore?

Questo per le aziende italiane si traduce in un ammodernamento dei propri sistemi produttivi, attraverso tecniche colturali all’avanguardia e innovative, in armonia con il territorio. Seguire il principio dello sfruttamento sostenibile delle risorse, della riduzione dei rifiuti e dell’uso dei combustibili, dell’utilizzo intelligente delle forme di energie, investendo sempre di più in quelle alternative, sono solo alcune delle strategie che le aziende italiane stanno adottando per rispondere a questa nuova esigenza di un mercato sempre più green.

Azioni supportate proprio da investimenti, quali ad esempio i PSR, che hanno insita la spinta all’innovazione sostenibile per le aziende agricole.

Competitività significa certificazione

La situazione delineata ha pertanto mutato profondamente i criteri di competitività del mercato agroalimentare, ridefinendo il criterio di convenienza delle produzione, che si traduce in rispetto dell’ambiente, qualità di prodotto e vantaggio economico.

Questo significa che l’incremento di competitività sul mercato deriva dalle certificazioni di sostenibilità ambientale: parliamo ad esempio della Water Footprint, o delle certificazioni europee come l’EPD (Environmental Product Declaration), o lo stesso progetto VIVA Sustainable Wine (promosso dal Ministero dell’Ambiente).

Guadagnare questo tipo di certificazioni di sostenibilità, produce per le aziende non solo un vantaggio a livello di eco-compatibilità dei processi di produzione, ma anche una nuova fonte di vantaggio competitivo e un’occasione di brand refreshing.